Cortisone: farmaci e terapie
Quando si prescrive un prodotto per via orale o iniettiva a base di cortisone, il paziente immediatamente esprime dubbi sulla pericolosità o sugli effetti collaterali; giusta cautela indubbiamente, che non viene però avanzata in caso di prescrizione di antibiotici o di altre sostanze altrettanto “pericolose”.
Vediamo, quindi, di fare un po’ di chiarezza sul cortisone, o meglio sui cortisonici, detti anche steroidi: sono ormoni secreti dalla corteccia (cioè dalla parte esterna) di quelle due piccole ghiandole posizionate sopra i reni e chiamate surreni. In natura le ghiandole surrenaliche producono cortisone e cortisolo ma, dopo che queste due sostanze vennero introdotte nella terapia di malattie infettive, molti altri composti sono stati sintetizzati dall’industria farmaceutica, modificando le due molecole naturali: sono, così, stati sintetizzati il prednisone, il prednisolone, il triamcinolone, il desametasone, il betametasone e molti altri, sempre più efficaci e sempre più potenti (caratteristica che rende possibile utilizzarne piccole dosi anziché le dosi “massicce” necessarie utilizzando i prodotti naturali: si pensi, ad esempio, che gli ultimi steroidi sintetici sono circa 500 volte più potenti del cortisolo).
A che cosa servono i cortisonici?
Le attività svolte da questi ormoni sono molteplici, a seconda dell’organo o apparato su cui vanno ad agire, e destinare ad influenzare quasi tutto l’organismo.
Effetto sul metabolismo dei glicidi: aumentano la produzione di zuccheri partendo da aminoacidi ed antagonizzano l’azione ipoglicemizzante dell’insulina, con il risultato che la glicemia aumenta (effetto diabetogeno).
Effetto sul metabolismo dei lipidi: aumentano i lipidi e il colesterolo nel sangue, dopo una somministrazione prolungata e a dosi elevate. Oltre a questo, ridistribuiscono il grasso sottocutaneo in senso centripeto e causano quindi la caratteristica obesità da steroidi, con faccia “a luna piena”, tronco ingrossato e arti relativamente sottili.
Effetto sul metabolismo proteico: consumano le riserve proteiche per aumentare glicidi e lipidi, per cui il bilancio azotato delle proteine diviene negativo, mentre aumenta il contenuto proteico dentro il fegato, a causa dell’aumentato turn over degli aminoacidi.
Effetto sul metabolismo dell’acqua e degli elettroliti: trattengono il sodio e aumentano l’eliminazione del potassio, sia a livello renale sia nelle ghiandole sudoripare, intestinali e salivari. Il risultato è che l’acqua viene “trattenuta” maggiormente nell’organismo (ottenendo il risultato comunemente definito di “gonfiare” il paziente).
Effetto sul sangue: diminuiscono gli eosinofili (globuli bianchi interessati nei fenomeni allergici), che vengono sequestrati nella milza e nei polmoni. Aumentano invece i neutrofili (altri globuli bianchi che intervengono nelle infezioni in difesa dell’organismo), per iperproduzione midollare.
Effetto sull’apparato cardiocircolatorio: a dosi elevate provocano ipertensione arteriosa, sia aumentando il volume plasmatico sia sensibilizzando le arteriole all’azione dell’adrenalina e della noradrenalina (che restringono naturalmente le arteriole stesse). L’azione sinergica sulle due catecolamine suddette costituisce il motivo per cui i cortisonici sono considerati sostanze “dopanti” per chi fa attività sportiva agonistica: sicuramente le prestazioni fisiche migliorano, ma è un miglioramento dovuto a sostanze chimiche e non ad allenamento, per cui il loro uso è giustamente proibito.
Effetto sul connettivo: diminuiscono la produzione di collagene ed inibiscono la ialuronidasi, con il risultato che diminuisce la difesa e la riparazione del connettivo.
Effetto sull’infiammazione: tutta la dinamica dell’infiammazione viene profondamente alterata, con diminuzione della dilatazione dei capillari, riduzione dell’essudazione, rallentamento della formazione di fibrina e del movimento dei leucociti, riduzione o abolizione della produzione di anticorpi. Tutte queste azioni spiegano il motivo per cui i cortisonici sono tra i più potenti anti-infiammatori in commercio e si utilizzano anche nelle patologie infettive, in cui la componente infiammatoria è importante.
Effetto sul sistema nervoso centrale: provocano eccitabilità, con modificazioni dell’encefalogramma ed eventuale ricomparsa di fenomeni epilettici in pazienti affetti da tale malattia. Anche a livello psichiatrico possono produrre alterazioni, sia in senso eccitativo (maniacale) sia in senso depressivo. L’azione eccitante contribuisce ovviamente a rendere proibiti i cortisonici negli atleti.
Effetto sull’apparato gastrointestinale: stimolano la secrezione acida e la secrezione di pepsina nello stomaco, con diminuita formazione di muco gastrico. Il risultato è un’azione lesiva sulla parete gastrica, che può arrivare alla formazione di ulcere (probabilmente solo in soggetti predisposti).
Effetto sulle ossa e sul Calcio: in base all’azione sul collagene, la matrice ossea viene ridotta, così come la formazione di nuovo osso, mentre contemporaneamente il riassorbimento del vecchio osso rimane immodificato. Il risultato è l’induzione di una grave osteoporosi, con indebolimento della struttura ossea e facilità alle fratture.
Effetto su altri ormoni: sopprimono la secrezione del TSH, per cui talora si osservano miglioramenti della funzionalità tiroidea in pazienti affetti da malattia di Basedow e trattati con cortisonici. Aumentano inoltre l’azione dell’adrenalina e della noradrenalina, per cui vengono utilizzati in caso di shock.
Come si vede, le azioni dei cortisonici sono veramente molte e differenti e la cautela nel loro utilizzo è più che giustificata, tanto più che gli effetti collaterali sono altrettanto numerosi, in base al loro meccanismo di azione multicentrico. La prima regola quindi da osservare nella prescrizione di un cortisonico è quella di non utilizzarlo assolutamente se non si è certi della diagnosi, per non compiere un grave errore terapeutico.
L’indicazione elettiva è data dall’insufficienza delle ghiandole surrenaliche, ma queste sono situazioni patologiche per fortuna rare. In genere, i cortisonici vengono invece prescritti in molte altre situazioni patologiche che nulla hanno a che vedere con la corteccia surrenalica.
Quando viene prescritto il cortisone?
Vediamo le principali situazioni in cui il ricorso al cortisone è abituale.
Artrite reumatoide: il cortisone viene utilizzato solo in casi particolarmente gravi, dal momento che sono necessarie dosi talmente elevate da provocare inevitabilmente effetti collaterali.
Malattie del collagene: il cortisone è impiegato soprattutto per diminuire o abolire le recrudescenze di malattie quali lupus, polimiosite, arterite temporale e sclerodermia.
Malattie allergiche: asma bronchiale, rinite allergica, febbre da fieno, edema angioneurotico e malattie allergiche cutanee, compreso il pemfigo, sono classiche indicazioni della terapia con cortisonici.
Malattie oculari: congiuntivite, uveite e coroidite sono tutte patologie in cui è presente una forte componente infiammatoria, per cui l’uso del cortisone è efficace e raccomandato. Occorre solamente stare attenti a non utilizzarlo nelle infezioni corneali da herpes simplex, dal momento che potrebbe causare una riacutizzazione dell’infezione.
Malattie del sangue: leucemie, porpore, anemie emolitiche, aplasie midollari sono tutte indicazioni specifiche dei cortisonici.
Nefrosi: sono indispensabili, tanto che nel bambino affetto da sindrome nefrosica l’uso dei cortisonici prolunga la sopravvivenza a 5 anni del 60%-75%.
Colite ulcerosa: i risultati migliori si ottengono abbinando alla via orale anche quella locale mediante enteroclisi.
Malattie del fegato: nelle epatiti croniche evolutive la terapia con cortisone è efficacissima, mentre il rapporto benefici/danni pone in seria discussione il suo uso nelle epatiti acute semplici.
Malattie infettive: avendo effetti anti-infiammatori e anti-infettivi il ricorso al cortisone è giustificato, anche se nelle forme virali ha un effetto favorevole a breve termine ma non diminuisce le complicanze tardive né la mortalità. Questo è uno degli usi più frequenti nella pratica quotidiana, ma occorre tenere presente due cose: da un lato i cortisonici possiedono indubbiamente un effetto anti-infiammatorio, ma dall’altro esercitano anche un’azione inibente sul sistema immunitario. Quindi, in caso di malattie causate da virus e non da batteri, il loro uso potrebbe essere controproducente: i virus causano poca infiammazione ma necessitano, per essere distrutti, di un sistema immunitario perfettamente efficiente e non minato dall’azione inibente del cortisone.
Come si vede, le occasioni di usare i cortisonici sono tante, al punto che nella prima metà del ‘900 veniva considerato una specie di panacea universale dotata di potere quasi taumaturgico. Adesso conosciamo meglio gli ormoni surrenalici e i loro moderni derivati chimici, e possiamo dire che i cortisonici sono prodotti utilissimi, a volte insostituibili, ma anche molto potenti e dotati di effetti collaterali talora gravi. Il loro uso deve quindi essere ponderato ed accorto, seguendo scrupolosamente la prescrizione del medico ed evitando in maniera assoluta la autoprescrizione. Per i soggetti che praticano sport a livello agonistico l’uso degli steroidi è proibito, per cui occorre riferire il loro uso alle autorità sportive in caso di assunzione anche “innocente” di un prodotto a base di cortisonici.
Per quanto riguarda le vie di somministrazione, queste sono sostanzialmente tre:
orale (quella più usata, soprattutto con i cortisonici di ultima generazione, che sono facilmente assorbiti e non necessitano di dosi elevate);
parenterale (intramuscolare o endovenosa, riservata alle patologie più impegnative);
locale (sia a livello cutaneo sia a livello mucoso).
Occorre a questo punto precisare un’ultima particolarità dell’uso dei cortisonici: dal momento che interferiscono con la funzione surrenalica, se vengono somministrati per un periodo di tempo superiore a 15 giorni, inibiscono la secrezione spontanea del cortisolo da parte dei surreni. In tal caso, al termine della terapia occorre sospendere la loro somministrazione gradualmente e non di colpo, per evitare che l’organismo si ritrovi con i surreni “bloccati” e non in grado di riprendere la funzionalità immediatamente. Questa sospensione scalare è comunque necessaria solamente dopo un periodo di uso di cortisonici di almeno 2 settimane: se vengono somministrati per pochi giorni (come accade nelle indicazioni più semplici e comuni) il surrene non rimane “bloccato” e la procedura non è necessaria, nonostante molti medici la attuino abitualmente.