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Il placebo ha effetto anche se sai che non dovrebbe.

Sono i cosiddetti placebo open lable: terapie che risultano efficaci anche se sappiamo che sono prive di principio attivo. Gli studi più recenti ne confermano il funzionamento, e suggeriscono un possibile utilizzo clinico per diverse patologie. E pur funziona. Potremmo riassumere la natura dei placebo: pillole e medicinali assolutamente privi di principi attivi, che se somministrati senza che il paziente sappia della loro inefficacia, possono alleviare o risolvere i sintomi di alcune malattie. A renderli efficaci è l’effetto placebo: le nostre aspettative, anche la semplice convinzione di ricevere una terapia, sono sufficienti per influenzare diverse condizioni mediche in cui l’aspetto psicologico gioca un ruolo importante, come il dolore. Inganniamo un paziente, e quello si sente meglio: tutto chiaro dunque, se non fosse che gli scienziati hanno scoperto che i placebo funzionano anche senza inganno. Ci si può sentire meglio anche se si è consapevoli di assumere zucchero o semplice acqua fresca. Come è possibile? Per ora esistono diverse ipotesi, ma quel che è certo è che questi open lable placebo sembrano efficaci su diverse malattie, come la depressione, la sindrome dell’intestino irritabile o il mal di schiena. A confermarlo, una recente metanalisi pubblicata di recente sul Journal of Evidence-Based Medicine. Per iniziare però facciamo un passo indietro, e ripassiamo quel che sappiamo oggi del funzionamento dei placebo. Ad aiutarci è Fabrizio Benedetti, professore di fisiologia e neuroscienze dell’università di Torino che da oltre 20 anni si occupa di effetto placebo. “Quello che è importante è il contesto psicosociale intorno alla terapia finta: comunica al paziente che una terapia è in atto e che quindi si deve aspettare un miglioramento della sua condizione o sofferenza”, spiega a Wired Benedetti. “Questa aspettativa scatena il rilascio nel cervello di diverse sostanze, come gli oppioidi e i cannabinoidi, che effettivamente possono indurre un miglioramento, per esempio la riduzione del dolore”. Il placebo può quindi avere effetti a livello fisiologico. E la sua efficacia si spinge fino a funzioni chiave dell’organismo, come la respirazione. Le ricerche di Benedetti hanno dimostrato per esempio che un respiratore attaccato a bombole vuote può avere lo stesso effetto dell’ossigeno nel prevenire gli effetti dell’ipossia, anche a 3.500 metri di quota. Sempre che i soggetti dell’esperimento siano ovviamente ignari dell’inganno. In campo medico però, solo alcuni sintomi e patologie possono trarre giovamento concreto da un placebo. E' difficile immaginare di sconfiggere un’infezione batterica con pillole di zucchero e infusioni di soluzione fisiologica. “Tutte le condizioni mediche in cui la componente psicologica è importante possono essere influenzate da un placebo, per esempio dolore, ansia, depressione, performance motoria”, continua Benedetti. “Al contrario, dove la componente psicologica non è importante o lo è meno, un placebo è del tutto inefficace. Per esempio è impensabile che un antibiotico placebo (finto) possa uccidere dei batteri, o che un gas anestetico placebo possa produrre anestesia generale. E’ altrettanto vero che, per quanto ne sappiamo oggi, un placebo non può fermare la crescita di un tumore e tanto meno farlo regredire”. Nonostante i limiti dunque, il placebo può risultare utile in caso di moltissimi sintomi più, o meno, gravi. E non a caso diversi studi hanno dimostrato che nel mondo moltissimi tra medici e personale sanitario (la quota varia dal 17 al 97%) utilizzano o prescrivono regolarmente dei placebo nella pratica clinica. Un trucco efficace in caso di piccoli problemi, ma anche estremamente controverso sotto il profilo etico. Essere ingannati scientemente con un farmaco che completamente privo di efficacia farmacologica, d’altronde, non è quello che ci aspettiamo quando ci rivolgiamo ad un medico. Ma se il trucco è palese le cose cambiano notevolmente. È per questo che i placebo open label attirano sempre più interesse in campo medico: prescrivere una terapia finta non può creare problemi etici, se avviene tutto alla luce del sole. L’unico dubbio in questo caso è la possibile efficacia del trattamento, ma sono sempre di più le ricerche sembrano confermarla per un ampio spettro di patologie. La metanalisi pubblicata sul Journal of Evidence-Based Medicine ne ha esaminate cinque: sindrome dell’intestino irritabile, disturbo depressivo maggiore, deficit di attenzione/iperattività, mal di schiena e rinite allergica. Nel caso della sindrome dell’intestino irritabile, una patologia caratterizzata da dolori all’addome e difficoltà gastrointestinali anche molto gravi, la ricerca analizzata ha coinvolto 80 pazienti che hanno ricevuto il placebo open lable per tre settimane. Al termine dello studio il placebo ha dimostrato una capacità molto maggiore di tenere a bada i sintomi rispetto a quanto avvenuto per pazienti che non hanno ricevuto alcuna terapia. Intervistata dal Guardian, una delle pazienti ha rivelato che nessuna terapia si era rivelata efficace in precedenza, e che al termine dello studio ha continuato a seguire una terapia a base di placebo open lable, perché per la prima volta dopo anni le avrebbe permesso di riprendere in mano la propria vita. In un altro degli studi il placebo open lable è stato testato invece sul mal di schiena, somministrato in aggiunta alle terapie convenzionali. E dai risultati è emerso che in media i pazienti sotto placebo hanno avuto una riduzione del dolore percepito pari circa al 30%. Più in generale, in tutte le patologie studiate il placebo ha mostrato una qualche efficacia statisticamente rilevante sui sintomi. Come faccia per ora non è chiaro, anche se esistono diverse teorie. Potrebbe trattarsi infatti di condizionamento operante, cioè di un effetto inconscio che nasce dalle precedenti esperienze positive di cura. O di un effetto legato alle aspettative dei pazienti, a cui i placebo negli esperimenti vengono presentati dall’inizio come potenzialmente efficaci. O ancora a un miglioramento dei sintomi legato non tanto al placebo in sé, quanto alle maggiori attenzioni che si ricevono da parte del medico che li prescrive (un po’ come si ritiene avvenga nel caso delle medicine alternative). “Quel che sappiamo oggi che esiste una componente del tutto inconscia nell’effetto placebo – commenta Benedetti – cioè, anche se il paziente sa che una terapia è finta, questa può produrre un effetto. Sembra paradossale, ma d’altronde ci sono altri esempi in cui ciò avviene nella vita di tutti giorni. Basti pensare a quando si guarda un film dell’orrore: si sa che è tutto finto… eppure si prova paura, con effetti misurabili come l’aumento del battito cardiaco, sudorazione, pelle d’oca”. Che lezione trarre da queste ricerche? Le opinioni a riguardo sono diverse. Per alcuni medici, i risultati incoraggianti dei trial effettuati potrebbero giustificare l’adozione clinica dei placebo open lable (ovviamente non in sostituzione di terapie efficaci, ma a fianco dei farmaci o in malattie che non hanno terapia).

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